Motore Sanità: “Anticipare l’uso dei farmaci antivirali per diminuire infezioni, tempo di recupero, ospedalizzazioni e ricoveri in terapia intensiva

7 maggio 2021 – È stato appurato che l’utilizzo degli antivirali sia più efficace se effettuato sin dalle
prime fasi dell’insorgenza dell’infezione da COVID-19. Ad oggi la terapia antivirale viene
somministrata solo in ospedale e in fasi più avanzate della malattia. Evidenze cliniche hanno
dimostrato come un uso anticipato di questi farmaci porterebbe ad una riduzione della
progressione dell’infezione, una velocità di recupero maggiore, un minor ricorso
all’ospedalizzazione e quindi una riduzione dei ricoveri in terapia intensiva. Con l’obiettivo di
approfondire la tematica insieme a clinici, decisori, economisti sanitari e società scientifiche,
Motore Sanità ha organizzato il webinar ‘IMPATTO ORGANIZZATIVO DELLE TERAPIE PER LA CURA
DELL’INFEZIONE VIRALE DA COVID’, realizzato grazie al contributo incondizionato di GILEAD.

“A distanza di più di 12 mesi dall’inizio della pandemia da SARS-CoV-2, non abbiamo a disposizione
una terapia capace di eradicare l’infezione; il trattamento dipende molto dallo stadio e dalla gravità
della malattia. Poiché la replicazione della SARS-CoV-2 è massima immediatamente prima o subito
dopo la comparsa dei sintomi, i farmaci antivirali diretti sono probabilmente più efficaci se utilizzati
in questa prima fase della malattia. Fra i vari antivirali testati, remdesivir, un analogo nucleotidico
inibitore dell’RNA-polimerasi di SARS-CoV-2, è ancora l’unico farmaco antivirale approvato dalle
agenzie regolatorie (FDA, EMA, AIFA). Negli studi registrati ad oggi, il farmaco ha dimostrato di
determinare un più rapido recupero clinico rispetto al gruppo placebo. Promettente sembra essere
l’uso degli anticorpi monoclonali (l’associazione bamlanivimab e etesevimab è stata recentemente
introdotta nella pratica clinica) che però devono essere impiegati proprio nei primi 2-5 giorni
dell’infezione. Nel prosieguo della malattia si ipotizza che non sia tanto l’azione del virus a produrre
l’evoluzione del quadro clinico quanto piuttosto uno stato iperinfiammatorio e di ipercoaugulabilità;
in questa fase, i farmaci antiinfiammatori, immunomodulatori, anticoagulanti (e/o una loro
combinazione). In Italia, è AIFA che ha il compito di valutare tutte le sperimentazioni cliniche con
nuovi farmaci anti SARS-CoV-2. Il numero delle sperimentazioni è in costante crescita e questo
dimostra come la ricerca italiana sia particolarmente attiva in questo ambito essendo in prima linea
negli sforzi per comprendere, prevenire e trattare questa infezione pandemica”
, ha dichiarato Anna
Maria Cattelan
, Direttore Reparto Malattie Infettive e Tropicali AOU Padova
Anche l’analisi di mortalità su circa 16’000 pazienti COVID-19 trattati con remdesivir in Italia secondo
i criteri di rimborsabilità imposti da AIFA e inseriti nel Registro AIFA dal 29 ottobre 2020, ha mostrato
una mortalità sulla popolazione generale sostanzialmente simile a quella emersa dallo studio
registrativo.

Una recente valutazione del possibile impatto organizzativo ed economico stimato con l’utilizzo
dell’antivirale attraverso un modello previsionale che simula l’evoluzione del corso pandemico ha
mostrato benefici sulla possibile riduzione di occupazione delle terapie intensive con i relativi
impatti economici.
“La stima delle capacità delle terapie intensive parte da un modello epidemiologico dinamico grazie
al quale è possibile simulare l’evoluzione del corso pandemico. Tale simulazione si basa su delle
ipotesi relative ai cambiamenti del tasso di riproduzione RT che tiene conto degli sviluppi della
campagna di vaccinazione e delle politiche in merito al distanziamento sociale. La simulazione
restituisce un numero di persone infettate, una porzione delle quali, sulla base di dati di letteratura
ed osservabili empiricamente, viene ospedalizzata in regime ordinario o in terapia intensiva. Questa
seconda fase del modello si basa su una catena markoviana che simula il percorso terapeutico degli
ospedalizzati e quindi permette di calcolare per ogni settimana di osservazione, il numero di terapie
intensive occupate, il numero di morti ed i relativi costi ospedalieri. A questa simulazione sono stati
poi applicati i dati inerenti all’efficacia di Remdesivir ed anche la durata media delle degenze sia
ordinarie che in terapia intensiva. Ciò ha permesso di confrontare gli effetti sia clinici che economici
derivanti dall’impiego di Remdesivir nei soggetti eleggibili. I risultati mostrano come l’impiego di tale
terapia permetterebbe, su 20 settimane, di salvare circa 13000 vite, occupare complessivamente
circa 9000 terapie intensive in meno (su tutto l’arco delle 20 settimane) e di ottenere risparmi pari a
400 milioni di euro. È da ricordare come il modello possa essere adattato ad ulteriori cambiamenti
nel corso della pandemia, ponendosi in primis l’obiettivo di informare i decision makers rispetto al
potenziale valore derivante dall’introduzione di strategie terapeutiche volte a diminuire la pressione
sulle terapie intensive ed il tasso di mortalità”
, ha spiegato Matteo Ruggeri, Ricercatore Centro
Nazionale di HTA – Istituto Superiore di Sanità e Professore di Politica Economica, St Camillus
International University of Health Sciences, Roma
Per i pazienti che possono beneficiare di queste terapie, rimane la necessità di garantirne l’accesso
nei tempi indicati dal registro AIFA (entro i 10 giorni dall’insorgenza dei sintomi) attraverso protocolli
terapeutici e di presa in carico diffusi su tutto il territorio nazionale, attraverso il coinvolgimento
della medicina territoriale per l’identificazione del paziente e attraverso l’estensione della
prescrivibilità a più specialità mediche all’interno delle strutture ospedaliere. Nuovi delivery form di
remdesivir e nuovi antivirali contro COVID19 sono in sviluppo.