Legalità. Il corteggiamento “petulante e ossessivo”: molestie e disturbo alle persone

Lo stabilisce la Corte di Cassazione, Sezione Penale, con la sentenza del 1 marzo 2021 n. 1993: il corteggiamento ossessivo di una donna, fatto ignorando le manifestazioni di totale disinteresse di lei, costituisce reato.

La vicenda ha ad oggetto un corteggiamento petulante, sgradito e molesto nei riguardi di una donna, svolto in particolare nel luogo di lavoro della stessa.

Prima della Suprema Corte avevano deciso nello stesso modo sia la Corte d’Appello di Trieste che, in primo grado, il Tribunale di Trieste, che condannavano il ricorrente alla “pena di mesi 3 di arresto” per i reato di cui all’art. 600 c.p. e al pagamento di € 4.000,00 a titolo di risarcimento danni in favore della parte offesa, costituitasi parte civile.

L’imputato sollevava ricorso in Corte di Cassazione, lamentando – tra gli altri motivi più tecnici – il mancato riconoscimento delle attenuanti in quanto la propria condotta di corteggiamento era di non particolare gravità: non aveva molestato la donna telefonicamente, non aveva fatto né pedinamenti né appostamenti.

Ma la Cassazione, nella sentenza in commento, ha rigettato il ricorso presentato dall’imputato e ha stabilito che l’atteggiamento tenuto dall’uomo integra a pieno titolo il reato di molestie:

i saluti insistenti e confidenziali, con modalità invasive della sfera altrui (in un’occasione abbracciandola); gli incontri non casuali e cercati nel bar dove lavorava la vittima (in cui l’imputato entrava ripetutamente con pretesti, senza consumare nulla, ma con il solo scopo di incontrare la persona offesa e tentare approcci con lei), come anche per strada, in un’occasione inseguendola e salendo sullo stesso autobus; la sosta sotto la sua casa; la manifesta rappresentazione della vittima al ricorrente di non gradire tali atteggiamenti di corteggiamento petulante e ossessivo e, ciononostante, la perseveranza di questi nei reiterarli”

hanno indotto la Suprema Corte a ritenere del tutto configurato il reato di molestie, anche se i comportamenti tenuti dell’imputato non sono mai stati aggressivi o in qualsiasi modo violenti.

È di particolare importanza l’aspetto della petulanza del corteggiamento: è infatti in presenza di un atteggiamento di arrogante invadenza e intromissione continua e inopportuna nella libertà altrui che viene a manifestarsi il reato di molestie, in aggiunta al fatto che la donna, vittima del corteggiamento ossessivo, non conosceva l’imputato né ha mai inteso intrattenere con lui relazioni di alcun genere.

La donna aveva espresso più volte il proprio fastidio e il proprio disappunto per questo corteggiamento tanto ostinato quanto molesto, pressante e intollerabilmente indiscreto e, proprio la durata delle molestie e l’insensibilità che l’uomo ha mostrato al fastidio e al malessere che provocava nella vittima, hanno indotto i Giudici a non ritenere gli atteggiamenti dell’imputato “poco gravi” e, anzi, considerati nel pieno della loro gravità, data dalle conseguenze che hanno avuto nella vita e nella psicologia della donna (è caduta in un grave stato d’ansia provocato, per l’appunto, dal comportamento estenuante dell’uomo).

La Cassazione, quindi, con questa sentenza che ci parla molto da vicino, ci lascia quasi un monito, non tanto e non solo legale: magari la prossima volta che ci balena l’idea di corteggiare qualcuno dovremmo lasciare a questo “qualcuno” il totale e insindacabile rispetto delle proprie decisioni, del proprio spazio, del proprio lavoro e della propria vita, anche quando tali decisioni ci chiudono la porta in faccia.

Per dirla in breve: “la mia libertà finisce dove comincia quella degli altri”.

Chiara Aldegheri
Dottoressa in giurisprudenza